Estetica del CMOS

Forse ve l’ho già detto, sto collaborando con una casa di produzione molto, molto particolare, alla realizzazione di un cortometraggio. Questa casa di produzione, di cui non voglio parlare perché spero che possa presentarsi da sola in qualche modo, realizza mediamente un cortometraggio al mese con la particolarità di girare tutto in uno o due giorni al massimo, e i cortometraggi arrivano a durare anche 20-25 minuti; vi lascio immaginare la complessità produttiva e lo stile delle riprese…

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Sono stato coinvolto perché amico di lunga data di un paio di loro e soprattutto perché “dispongo” di uno studio in green screen, dato che il corto su cui abbiamo lavorato si svolge tutto all’interno di una struttura militare ben precisa nella quale non si può accedere in condizioni normali.

Ogni cortometraggio che questa piccola casa di produzione realizza, è più o meno, la “versione apocrifa” di un film o di un genere. Il corto su cui ho lavorato è di genere azione militare/fantascienza/orrore. Mi sono offerto di operare non solo in qualità di responsabile degli effetti in green screen, ma anche come direttore della fotografia per le sequenze senza effetti speciali (ora che ci penso ogni sequenza hadentro almeno una composizione in green screen). Mi sono dunque dotato della mia fida Canon per girare tutte le scene.

Dato che la sceneggiatura è abbastanza inquietante e ritmata, ho scelto di lavorare su tutte le scene tenendo la camera a mano per dare maggior enfasi al nervosismo, una scelta piuttosto comune, quasi banale nel cinema d’azione di oggi.

Lavorando con una macchina fotografica invece che con una macchina da presa digitale, però, si incorre nel fastidioso problema del rolling shutter. Non sto qui a tediarvi con problematiche tecniche e tecnologiche, sappiate semplicemente che l’immagine viene scansionata dal sensore non in una botta unica ma durante la ripresa, per cui se l’immagine si muove (e dato che si tratta di cinema l’immagine si muove sempre) l’azione viene catturata in istanti diversi durante l’intervallo di tempo in cui questa scansione viene effettuata. Questo fa sì che se le riprese sono a mano questi movimenti di tutto il fotogramma si ripercuotono con un effetto “gelatina” su tutto il quadro.

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Questo tipo di artefatto, soprattutto i primi anni, mi ha sempre dato talmente tanto fastidio ed è risultato così complesso per le sequenze con effetti speciali, da farmi avere un rifiuto netto nei confronti delle riprese senza cavalletto.

Dopo un paio di anni, però, devo dire che questo tipo di estetica, assolutamente presente non tanto al cinema (loro ci hanno delle telecamere molto più performanti) quanto nei film indipendenti veri e propri, e sul canale indipendente per eccellenza, YouTube, ha iniziato ad entrarmi dentro, e non solo mi ci sono abituato, ma trovo che il nervosismo, le immagini del tutto non stabilizzate e anche l’effetto gelatina, sono entrate a fare parte del linguaggio comune.

Dunque ho girato tutte le scene che non prevedevano l’utilizzo dei green screen, in questo modo e ne sono rimasto estasiato: il montaggio risulta frenetico, di impatto, l’azione molto violenta, che è un po’ quello che volevo trasmettere.

Dirigere la fotografia non è solo illuminare, non è solo inquadrare, ma anche come e quanto si muove, anche con questi movimenti pseudocasuali, la camera. Una scelta che influenza non solo il montaggio ma anche la recitazione.

Al punto tale che le scene che ho girato con cavalletto perché dovevo poi aggiungere elementi in postproduzione in compositing, mi sono risultate del tutto aliene all’interno della scena. Ovviamente, per continuità, ho deciso di simulare il movimento di queste scene a posteriori, tra l’altro proprio tracciando spostamento e rotazione da riprese reali. Questo significa, in parole povere, che non ho utilizzato un generatore di movimento casuale all’interno del programma di compositing, ma mi sono basato su riprese reali in modo da avere una corrispondenza più o meno perfetta con quella che sarebbe stata la mano dell’operatore (nel caso specifico la mia, dato che ho tenuto sempre io la camera).

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Paradossalmente, però, dato che queste scene non hanno l’effetto gelatina, la drammaticità è inferiore, e dunque trovo un certo distacco tra le scene “vere” e quelle “simulate”. Queste scene sono sempre in campo molto largo, perché servono a mostrare la geometria della scena, mentre la maggior parte delle inquadrature montate sono dei primi piani in campo e controcampo che mostrano le reazioni emotive dei personaggi a quello che sta succedendo. Essendo inquadrature più ravvicinate, dunque con focale più lunga, il movimento è maggiore, ciononostante credo che nei totali mi manchi proprio questo effetto gelatina, che rende la ripresa più reale.

Se mai mi capiterà di rifare questo tipo di esperienza, credo che mi impegnerò a riprendere a mano anche le scene in cui devo sostituire elementi dello sfondo in compositing, come per esempio sequenze green screen, accettando magari un minimo di effetto gelatina, probabilmente ricreandolo anche sugli effetti aggiunti, in modo da mantenere questo tipo di estetica. Perché è entrata a far parte del linguaggio e, soprattutto, dato che ognuno è il centro del proprio universo, è entrata a far parte del mio linguaggio.

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Per quanto concerne il corto, non so se lo farò mai vedere, probabilmente sì perché sono un pazzo maniaco esibizionista, però si tratta di qualcosa di molto, molto distante da quella che è la mia comunicazione normale e, dunque, se lo farò, metterò tre o quattro paia di mani avanti e di chiederò di prenderlo con le adeguate pinze…

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Post scriptum: lavorare al montaggio di scene in cui abbiamo girato una, al massimo due take è davvero una sfida, ma è una sfida che mi sta piacendo tantissimo…

Post post scriptum: come potete vedere le sequenze sono tutte in 2.35:1 (2.34:1 per la precisione). Girate in 16:9 e croppate poi. Proprio da filmone ammerigano d’azione per eccellenza… 😀

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