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È nato TechRadio.it

Ciao a tutti, desideravo mettervi a conoscenza dell’ultimo tecno-progetto a cui ho aderito: TechRadio.it!

techRadio logo

TechRadio.it nasce da un’idea di Stefano Paganini, che nell’arco di 10 minuti, grazie alla validità della stessa, è riuscito a tirare su un gruppo di persone davvero in gamba.

Di questo gruppo di persone davvero in gamba faccio parte anche io, ma per sbaglio, ma lasciatemi parlare… Diciamo che ho disegnato il logo, per cui mi sono arrogato il diritto di blaterare! 😀

Ma cos’è TechRadio.it?

techRadio logo

Per adesso si tratta di un podcast che potete ascoltare bellamente su computer o con il vostro iDevice (o una di quelle copie che vanno tanto per la maggiore), a cadenza settimanale e strutturato in modo tale che ogni partecipante alla puntata abbia a disposizione circa 5 minuti per parlare del suo argomento: pillole brevi ma decisamente approfondite da parte di gente generalmente tecno/geek/nerdsperta.

Qui trovate il link alla scheda della prima puntata, la cosiddetta puntata zero o pilota. E la seconda è già in fase di finalizzazione.

E se cliccate qui vi potete abbonare mediante il servizio podcast di iTunes.

Che aspettate? Andate ad ascoltarlo!

Le performance non sono un problema

IPNews sull'App Store
IPNews sull’App Store

Volete sapere quale è l’app che uso di più sui miei device, iPad e iPhone? Ebbene si, lo ammetto e non senza una punta di vergogna: Facebook.

Ora, tra tutti quelli che stanno leggendo questo articolo e che dispongono di un dispositivo mobile Apple: quanti di voi pensano che Facebook sia un app veramente ben poco ottimizzata? Lenta? Scattosa? Che risponde molto lentamente ai comandi dell’utente? Se non avete alzato entrambe le mani destre allora sicuramente non usate iOS o, ancora meglio, non usate Facebook. Punti per voi.

Credo che Facebook sia l’app più scaricata al mondo e, in parallelo, sia anche quella meno ottimizzata al mondo. Ma non è questo il problema.

Anzi, non è nemmeno un problema: Facebook, nonostante venga aggiornata almeno una volta al mese, e nonostante tutto sia sempre lenta e macchinosa, viene comunque utilizzata. E, soprattutto, Apple la ritiene un’app che può essere distribuita sul suo store.

Ripetete insieme a me questo mantra: “le performance non sono un problema“.

Come sapete, qualche mese fa, ho iniziato a sviluppare un app, non è quella di cui vi parlo spesso qui, è semplicemente un’utility che serve a rimanere in contatto con le notizie, le persone e i podcast di un network di cui facevo parte. Ho sviluppato questa app essenzialmente per gioco e per mettermi alla prova, ma soprattutto per mettere alla prova l’infrastruttura di sviluppo che volevo utilizzare. Le prestazioni di quest’app sono davvero basse, è molto lenta e relativamente macchinosa. Perché? Semplicemente perché l’infrastruttura che utilizzo, il framework, funziona assolutamente bene (60 fotogrammi al secondo) in simulazione sul desktop, ma quando la si porta su dispositivi retina, il rallentamento è molto più che evidente. Continuo a pensare che un aggiornamento successivo porterà a miglioramenti di prestazioni, dell’ordine di 10 volte, ma finché non sistemano alcuni warning, questo è lo stato dell’arte.

Ho presentato questa app a Apple tre volte prima che venisse autorizzata alla distribuzione. La prima volta è stata rifiutata perché non compatibile con iOS 7. Era un bug riconosciuto, non potevo farci niente, e infatti soltanto tre settimane fa gli autori di questo framework hanno rilasciato un aggiornamento che rendesse le app compatibili con l’ultima versione del sistema operativo mobile Apple.

PayPal: un si pole!
PayPal: un si pole!

A questo punto ho ripresentato l’app ad Apple e ancora una volta mi è stata bocciata, questa volta per un motivo molto semplice: tra le immagini che avevo messo in evidenza, ce ne era una che faceva riferimento ad una notizia del Network: nella fattispecie una notizia che riportava un articolo in cui si chiedevano donazioni attraverso PayPal. Questa cosa è contro le politiche di Apple è dunque l’app, per la seconda volta, è stata bocciata.

Ho tolto questa immagine è anche il link alla notizia all’interno dell’app. E l’ho riproposta. Questa mattina, esattamente sei giorni e mezzo dopo l’ultima presentazione, questa è stata accettata.

Ripeto: è una app decisamente poco performante ma fa quello che fa, senza troppi intoppi. Se non si naviga tanto velocemente e non si pensa di andare molto velocemente con le dita, potrebbe quasi sembrare un‘app normale.

Ma la cosa più importante è che l’app, nonostante questi problemi di performance, è stata accettata.

Ripetete insieme a me: “le performance non sono un problema“.

Perché vi dico tutto questo, visto che questa app non ha nulla a che vedere con il mondo del video? Beh La risposta è semplice: l’altra app che sto sviluppando, quella molto professionale, quella che faremo pagare e non poco ai clienti, per certi versi soffre di alcune delle limitazioni del framework di cui vi ho parlato fino ad ora: le prestazioni non sono eccezionali. Attenzione: il nocciolo di questa app è veramente ottimizzato e, in quel caso, le prestazioni sono perfette, una media di 59.9 fotogrammi al secondo, significa che viene perso un fotogramma al secondo veramente una volta ogni tanto (il target è 60 fps), e per gli scopi di questa app, non è per nulla fondamentale.

Le limitazioni arrivano nella parte di interfaccia che circonda l’app, ovverosia tutta la parte di gestione dei progetti e dei sottoprogetti, nel qual caso le prestazioni si abbassano anche a 6-7 fotogrammi al secondo. Non è un grande problema, perché la cosa importante è che il nocciolo della funzione, e, credetemi, funziona davvero bene. Davvero tanto bene. Domani, probabilmente, in un impeto di gioia, pubblicherò un esempio di cosa è possibile fare con questa app.

La cosa che mi rincuora è che, dato che secondo Apple le prestazioni non sono un grande problema, ci sono buone probabilità che l’appin questione venga accettata, e, per me, sarebbe davvero un grande traguardo.

C’è solo una piccola postilla, per la quale forse, il mantra “le performance non sono un problema” potrebbe non essere più vero. Facebook è una gratuita. L’app che è uscita oggi che ho sviluppato io è un app gratuita.

Mentre questa app che devo ancora presentare non sarà un’app gratuita, sarà invece un app a pagamento, e dal costo non indifferente. Leggendo in giro su vari forum e gruppi di discussione più o meno formalizzati ho capito che Apple è molto più severa con le app a pagamento che con quelle gratuite. E diventa sempre più severa man mano che il costo dell’app sale.

A questo punto credo che mi prenderò altre due settimane per ottimizzare le prestazioni e poi, finalmente, entrare in beta. Sto cercando due o tre partner che mi facciano da beta tester, che possono utilizzare quest’app sui set in cui si realizzano effetti speciali.

Di conseguenza siete davvero avvisati: se volete partecipare al programma di beta testing, e di conseguenza ricevere gratuitamente una copia dell’app che potrete utilizzare nei vostri progetti, contattatemi.

Per il resto, ancora una volta, ripetete con me il mantra di questa giornata: “le performance non sono un problema“.

Ah, se volete scaricarvela… Beh, cliccate qui, ma attenzione: in questo caso le performance sono un po’ un problema… Io vi ho avvisati! 😀

Funeral for a friend

Scrivo qui questa cosa perché l’ha chiesta un ascoltatore.

È come quando se ne va un amico.
L’avevi conosciuto ai tempi delle medie, e poi sei rimasto insieme a lui per gran parte delle superiori.
Ti aveva fatto scoprire un modo di divertirti che nemmeno immaginavi.
La prima canna, il primo racconto, la prima confessione di esperienza sessuale, una partita giocata insieme.
Poi tu sei cresciuto, lui è cresciuto.
Avete percorso strade diverse, siete cambiati, ma per te lui è sempre quello dei primi ricordi.
Un po’ come quando vedi su Facebook amici dei tempi che furono, sono passati 20 anni e non li riconosci più, preferisci quasi ricordarli come erano, dei bambini, dei ragazzini…
E poi vieni a leggere sul giornale che proprio ieri è scomparso, morto, assassinato.
Sapevi che non se la passava bene, che aveva percorso altre strade, che ora faceva cose che non ti divertivano più. Ma tu gli hai sempre voluto bene, come a un fratello, come a qualcuno a cui hai affidato un po’ della tua giovinezza…
Era un’altra persona, quella che avevi conosciuto quando eri un ragazzo, era già scomparso da tempo.
Ma ora il suo nome è impresso per sempre su una lapide.
Ti piacerebbe andarlo a trovare, stare davanti alla sua tomba con altri compagni a ricordare i bei tempi andati.
Forse lo farai, forse no, forse anche una parte di te è morta in questi 20 anni…
Quello che sai, e di cui ti rendi conto, è che non passa giorno senza che qualcosa della tua infanzia, dei tempi spensierati, quando le cose erano più semplici, ti viene strappato via.
E dici che sei un uomo, vorresti convincertene.
Ma una parte di te, quella che sogna, perché non smetterà mai di sognare, continua a sperare sembra che un giorno potrai prenderti una lunghissima vacanza, per tornare per qualche tempo a rivivere quelle emozioni, quelle sensazioni, come se i ricordi si potessero trasformare in esperienze reali…
Poi ti svegli, il giorno dopo, assonnato, ti guardi allo specchio mentre ti fai la barba.
Che pensi che devi andare a lavorare, che devi pagare il mutuo, che forse fra poco ti puoi sposare, mettere al mondo altri bambini, e che non c’è più spazio, non c’è più tempo, non ci sono più risorse per tornare ad essere quello che eri una volta.
E non ci sono più lacrime, non ci sono più urla strazianti, c’è solo una vita fatta di impegni, responsabilità e sacrifici.
Fino alla prossima volta che aprirai il giornale e leggerai un’altra notizia così.

Video DiggaZ 2×04: “La pulizia dell’audio”

In questa puntata di Video DiggaZ parliamo oggi di pulizia dell’audio: come migliorare una traccia sonora parlata, con particolare attenzione all’applicazione podcast.

Clicca qui per scaricare la puntata.

Sempre più spesso ci si trova nella necessità di registrare dell’audio in situazioni non ideali (dove per ideale si intende “uno studio di registrazione con microfono professionale con una voce da speaker”). In questi casi occorre effettuare una pulizia dell’audio in post produzione. L’audio va pulito dai rumori di fondo, caratteristici dell’ambiente in cui si registra, come per esempio il rumore di un condizionatore d’aria, i silenzi vanno resi davvero “silenziosi” e la dinamica va compressa in modo che le parti in cui la voce è più alta e quelle in cui è più bassa siano entrambe ascoltabili. Infine si deve livellare la potenza media del suono in modo che le tracce parlate di tutti i partecipanti alla trasmissione abbiano lo stesso volume.

Nel corso del video verranno mostrati esempi pratici di pulizia del suono preceduti da alcuni cenni teorici che spiegano i principi attraverso i quali funzionano il noise gate, il denoiser, il compressore e il livellatore RMS.

Streaming, perché deve essere così difficile?

Prima di iniziare a leggere questo articolo vorrei che ricordaste che siamo nell’Anno del Signore 2013.

Ieri sera, 4 aprile, 2013 (appunto), abbiamo organizzato una diretta straordinaria dei nostri podcast (Dietrologia Videoludica e Retrocast) in cui avremmo parlato della fine di una gloriosa casa di software. L’idea era quella di realizzare una trasmissione atipica, radiofonica, una sorta di “pappagallo” organizzato in poco più di due o tre ore…  L’importanza per noi che abbiamo dai 30 ai 40 anni di questa software house ha fatto sì che siamo riusciti a trovarci praticamente senza alcun preavviso.

Streaming studio
Streaming studio

Tecnicamente parlando l’obiettivo era quello di mandare in diretta la nostra chiacchierata e dei contributi musicali e sonori, con il sottoscritto che si sarebbe occupato della regia e dello streaming, e sarei intervenuto a parlare per pochissimi minuti in trasmissione. Questo avrebbe comportato alcune problematiche tecniche perché le sorgenti audio sarebbero state tre: io, le altre persone che parlavano e i contributi sonori. Questi tre elementi sarebbero dovuti venire mixati e inviati in streaming.

La mia scelta iniziale era quella di utilizzare il comodissimo sistema di Google Hangout, che per i primi 10 minuti ha anche funzionato a dovere. Poi, però, 10 minuti dopo l’inizio della trasmissione, i server ci hanno completamente “rimbalzato”, costringendoci a spostare la trasmissione. A questo punto la scelta era quasi obbligata: continuare registrando come al solito ma senza andare in diretta, però andando contro lo spirito di questa puntata speciale: parlare dell’avvenimento essenzialmente 24 ore dopo, e non di più.

Alla fine, in qualche modo, sono riuscito a riconfigurare uno dei due computer che avevo a disposizione per inviare lo streaming sui server di Livestream. Si è trattato di una soluzione di emergenza che però, magicamente, ha funzionato quasi alla perfezione, se non per il problema dovuto al fatto che mi era praticamente impossibile effettuare un mix audio con anche le musiche.

Fatto sta che, ogni volta, sembra quasi una sfida contro i mulini a vento. Siamo nel 2013 e ancora abbiamo queste difficoltà, praticamente insormontabili per chi non è tecnicamente preparato, per realizzare una trasmissione in diretta, se non spendendo molti soldi per soluzioni proprietarie.

Siamo comunque riusciti a contattare, sempre attraverso Facebook e comunque il canale di YouTube, le persone che ci seguivano, in modo da reindirizzarle verso il nuovo link con la trasmissione. C’è stato anche un’po’ di dibattito e questo mi ha reso molto felice. Andare in diretta a senso soprattutto perché così si può interagire con le persone che ti seguono.

Ancora una volta ho imparato qualcosa di nuovo, cosa che mi rende per lo meno allegro: se passa una settimana in cui non ho sperimentato niente mi sento un po’ pigro. La qualità dell’audio era anche decisamente superiore a quella offerta da Hangout (ma forse dovremmo chiamarlo Google Hangover), e probabilmente questa piattaforma sarà quella che dovremo utilizzare per i prossimi eventi.

Quello che mi chiedo io è molto semplice però: perché, oggi, 2013, deve essere così tanto difficile se non impossibile realizzare qualcosa del genere? Certo: Google Hangout è un servizio gratuito, molto probabilmente ancora in beta per cui non abbiamo alcun appiglio per poterci lamentare. Fatto sta che, anche se ha sempre funzionato, proprio ieri ci ha lasciati a piedi, proprio quando avevamo degli spettatori. Lo spettacolo deve continuare ma l’infrastruttura sulla quale il nostro spettacolo era appunto basato era crollata.

Tanto tempo fa coniai questo semplice slogan da ripetere e ripetere continuamente ai miei collaboratori che si lamentavano: “se fosse facile lo farebbe qualcun altro…“.

Sì, però, che palle…

Montare un podcast audio con Final Cut Pro X

Siamo tornati con una nuova puntata di video di Video DiggaZ: in questa episodio parleremo di come montare un podcast audio utilizzando il programma di montaggio video Final Cut Pro X.

Video DiggaZ 2x02 cover

E già qui posso sentire il coro di proteste: come è possibile pensare che sia sensato montare dell’audio utilizzando un programma video? In effetti in prima analisi questa potrebbe sembrare una perdita di tempo e uno spreco di risorse. Le potenzialità delle clip innestate è del multicamera di Final Cut Pro X, però, consentono uno stile di lavorazione decisamente nuovo e particolarmente efficace. Quella che propongo, infatti, non è una soluzione definitiva ma una spiegazione del mio metodo di lavoro.

In questa breve puntata, siamo nell’ordine dei 15 minuti, Alex Raccuglia effettuerà una piccola introduzione teorica in cui spiegherà le differenze tra un evento multicamera e un evento distribuito come un podcast audio. Chi si occupa di podcast infatti sa benissimo che la soluzione per raggiungere la migliore qualità è quella in cui ogni partecipante registra la propria traccia audio e solo alla fine queste vengono combinate insieme, mantenendo un rapporto qualitativo elevato.

Credo che sia doveroso qui aprire una parentesi: se non si utilizzano strumenti di teleconferenza professionali, e dunque a pagamento, la qualità della connessione audio è molto variabile. Non appena il numero di partecipanti al podcast sale sopra i due si verificano diversi problemi di trasmissione: perdita di segnale, abbassamento della qualità al di sotto della soglia telefonica, ritardi. Questo degrado può essere accettabile durante la conversazione, ma se si ascolta. Podcast in differita questi piccoli difetti, sommati tra loro, generano una puntata difficilmente ascoltabile da parte degli spettatori.

Non solo: se si registrano insieme tutte le tracce non è possibile aggiungere effetti o effettuare una pulizia delle singole componenti. In IPN infatti applichiamo filtri, equalizzazione e compressioni diverse però ogni singola voce.

Una volta sincronizzate le tracce audio dei partecipanti vedremo come utilizzare gli strumenti di editing sonori e Final Cut Pro X per procedere ad un montaggio molto veloce e molto efficiente.

Potete scaricare da questo link la puntata del podcast:

Mentre questo è il video su YouTube:

Senza pubblico

Schermata 03-2456372 alle 11.21.29Ieri sera ho registrato una nuova puntata del mio video podcast. Sì, lo so, erano ormai almeno sei mesi che non lo facevo. Non è che non avessi argomenti, semplicemente non avevo tempo, o, meglio, non avevo risorse… Ma non è di questo che vi voglio parlare oggi.

Ho registrato questo podcast, la cui durata montata finale è di circa 15 minuti, in una mezz’ora circa. Invece di essere nel mio solito studio ero nel mio appartamento, nella stanza dedicata al computer. Io, da solo, la mia fotocamera per riprendermi e la maggior parte del tempo l’ho passata parlando al microfono e mostrando cose sullo schermo del computer. E vorrei sottolineare: da solo.

Mi sono accorto che se non ho un interlocutore davanti il mio tono di voce è molto più basso, molto più contenuto. Un po’ come se stessi parlando da solo davanti ad un microfono, quasi vergognandomi della cosa. Quando ho uno pubblico, invece, il mio tono di voce è molto più alto, molto più energico, e ho la tendenza a dire un sacco di cavolate, e di comportarmi come un pagliaccio. Un po’ come se fossi su un palcoscenico. Mentre ieri sera ero da solo nella mia stanza a parlare, è il mio modo di pormi era completamente diverso.

Ma non è tutto qui: ho preparato nella mia testa questo podcast da qualche giorno, ripassando in automobile gli argomenti e la scaletta, ma non solo, parlando da solo a voce alta durante il viaggio tra casa e ufficio immaginandomi di avere un pubblico; e in quel caso riuscivo ad essere più energico, più vitale, persino più simpatico, per quanto possa esserlo io, notoriamente antipatico al limite dell’odioso… Provare e riprovare in automobile mi ha fatto anche percorrere alcuni punti che, durante la registrazione di ieri, ho trattato di modo più superficiale, meno approfondito. Niente di grave: non sono cose che non hanno inficiato in maniera pesante la qualità o l’elenco dei contenuti della puntata; però, forse, se invece di durare 15 minuti la puntata ne fosse durata 18, sarei riuscito a renderla ancora più ricca e divertente. Diciamo che il mio modo di pormi ha influito sullo stato d’animo con cui ho affrontato questo podcast, e per cui non sono riuscito a metterci dentro tutta l’energia e tutto quello che volevo infilarci.

Anche se credo che la puntata sia molto, molto interessante (anche se dedicata ad un pubblico piuttosto ristretto) penso che, d’ora in avanti, quando registrerò qualche puntata, io dovrò dotarmi di un pubblico, uno o due persone, preferibilmente che conoscono un po’ l’argomento che vado a trattare. Non sono ancora arrivato al punto in cui io possa sentire di avere una comunicazione empatica con qualcuno che non vedo direttamente. Forse può bastare una diretta in Hangout, un live streaming. Dovrei pensarci per la prossima volta: organizzare anche solo in camera mia una telecamera e un evento in diretta.

E a questo punto chiedo a voi, gentili lettori di questo striminzito blog, se la cosa può interessarvi. Voi che ne dite?

Ah, dimenticavo, non vi ho anticipato l’argomento della puntata: si tratta di una veloce panoramica di come utilizzare Final Cut Pro X per montare un podcast audio. Lo so che può sembrare una mezza eresia, ma alcuni strumenti di editing di Final Cut Pro X, Secondo me, sono perfetti per chi deve montare molto velocemente ma anche con un elevato livello di accuratezza, un podcast registrato da più persone contemporaneamente. Il tempo di creare una nuova sigla, oggi durante la pausa pranzo, di avere l’autorizzazione delle persone coinvolte in questo podcast e la puntata sarà disponibile sui soliti canali…

Comunque sia andata, è stato un successo

Certe volte mi chiedo come mai faccio le cose, o come mai le faccio in questo modo. Alla fine penso di avere capito, alla soglia dei 40 anni, che sono fatto così e così devo imparare ad accettarmi.

Ieri sera, insieme al team di Archeologia Videoludica, abbiamo registrato la nostra prima puntata in diretta video. È andata bene? È andata male? Credo che la risposta sia estremamente variabile e dipende in larga parte da quale sia il punto di vista dalla quale la si pone.

Posso dire, dal mio punto di vista, che è stata abbastanza faticosa. Perché? Beh, partiamo dal principio, la componente tecnica non è stata da trascurare.

Per prima cosa ho sviluppato una piccola applicazione per iPad che consentisse di avere in diretta alcuni effetti sonori che alcune musiche scelte per l’occasione. Poi è subentrata la necessità di fare sentire questi effetti sonori a tutto il pubblico, e non solo, avrei avuto bisogno anche io di ascoltarli intanto che venivano eseguiti.

L'app che ho scritto per gli effetti sonori
L’app che ho scritto per gli effetti sonori

Non solo, c’era la necessità di registrare questi effetti sonori su una traccia separata da quella della voce mia e di Stefano, in modo da poterli replicare durante la fase di mixaggio. Non avevo idea di come fare, e, alla fine, sono riuscito a rimediare utilizzando due mixer, uno per l’ingresso nel computer e uno per l’ascolto in cuffia.

Poi, dato che nella postazione mia e di Stefano avremmo dovuto anche riprendere dei computer dell’epoca, ho ben pensato di migliorare l’illuminazione. Ho dunque portato a casa dal mio studio un paio di quarzi e un ombrello di modo da creare una bella luce diffusa. Purtroppo la tecnologia dei streaming che utilizziamo, Hangout, di Google, non consente l’utilizzo di una telecamera esterna, ma solo della webcam del computer. Questo significa una difficoltosa messa a punto della luce. E, di rimando, l’occupazione per tutto il mio piccolo salotto di stativi, luci è una tavola di mixaggio ben complessa; diciamo che per un paio di giorni la mia casa si è trasformata in un set, assolutamente invivibile.

In posa prima di iniziare la diretta...
In posa prima di iniziare la diretta…

A questo aggiungerei anche l’impossibilità di ascoltare con due cuffie la stessa fonte, perché lo sdoppiatore di Stefano si è rotto, per cui abbiamo dovuto collegare due computer allo stesso Hangout, e dallo stesso IP di casa mia.

Ma queste sono problematiche tecniche, non dovrebbero tanto interessare chi ci guarda e, in un mondo ideale, nemmeno noi. Parliamo di contenuti…
Per contenuti, non intendo dire soltanto quello che viene detto che in trasmissione, ma dato che si tratta di una diretta in video, anche di come viene mostrato. Di questa trasmissione, non so nemmeno perché, sono anche il conduttore. Questo, come per altre esperienze che ho avuto, si traduce in una duplice difficoltà, per lo meno per me: condurre il programma e nello stesso tempo occuparmi della regia. Dove per regia si intende la regia tecnica. La regia dello streaming.

Il setup delle macchine
Il setup delle macchine

In altre situazioni ho utilizzato un altra piattaforma per la trasmissione video in streaming, nella fattispecie Livestream. Questa tecnologia consente l’utilizzo di telecamere e di catturare lo schermo del computer mandando tutto in uscita ad un’alta qualità. Perché non abbiamo utilizzato Livestream anche per la diretta di ieri? La risposta è semplice: perché non consente di utilizzare camere dislocate in diversi punti mi spiego: quando facevo le dirette dal mio studio tutti i contenuti e le informazioni arrivavano dallo stesso posto, il mio studio, appunto. La trasmissione di Archeologia Videoludica, invece, viene realizzata in modo distribuito. Ci sono io a Milano, Stefano nella stessa stanza con me, ma Giuseppe è in Sicilia e Simone e Marco sono invece a Roma. E lo scambio di battute deve essere realizzato contemporaneamente. Non è pensabile che si debba dare la parola a qualcuno e che tutti gli altri non possono intervenire quando questa persona sta parlando. L’unica soluzione non a pagamento che abbiamo trovato, per adesso, è quella di Google, la quale, per ora, ha ancora tante limitazioni, tra le quali la non possibilità di utilizzare telecamere esterne. Avendo solo una telecamera non abbiamo potuto effettivamente connettere il computer dell’epoca a un televisore, Stefano infatti ci ha portato dei esemplari effettivamente funzionanti.

Uatt'samerican!
Uatt’samerican!

E poi, quando stiamo registrando, dobbiamo pensare che le persone connesse in diretta sono qualche decina, mentre gli ascoltatori del nostro podcast spesso e volentieri superano il migliaio. Dobbiamo dunque realizzare una trasmissione che deve soddisfare delle esigenze che sono anche in contrasto tra loro. Possiamo così fare uno show per chi ci segue live, ma non dobbiamo e non vogliamo dimenticare la massa di ascoltatori che ascolta il podcast senza vederlo.

Vestiti anni '80!
Vestiti anni ’80!

Mi rifaccio la stessa domanda di prima: è andata bene? Oppure è andata male? Sinceramente non lo so. Forse, conoscendo le difficoltà e lo scarso tempo a disposizione, anche se non è mai una scusante, direi che è stato un discreto successo. Se però mi metto nei panni dello spettatore può dell’ascoltatore, se devo essere sincero non ho un’opinione ben definita. Né positiva né negativa. Archeologia Videoludica è già di per sé una trasmissione molto particolare, dedicata ad un pubblico molto particolare, che non è proprio quello di chi fa retrogaming. Si tratta di un prodotto che io considero unico nel panorama dei podcast italiani, e probabilmente non solo italiani
Credo che sia molto difficile pensare di mettere in scena uno spettacolo con lustrini e luccichini che possa durare le due ore della trasmissione, e nemmeno sono sicuro che sia il caso di farlo, probabilmente snaturerebbe l’essenza stessa della trasmissione… Ciononostante credo che ora siamo di fronte ad una sorta di di bivio, il passaggio ad un mezzo nuovo, quello del video, e ad un linguaggio nuovo, quello della diretta. Un linguaggio ed un mezzo che devono assolutamente convivere con quelli precedenti, il podcast solo audio. E soddisfare le categorie di pubblico.

Dal nostro punto di vista, o, meglio, dal mio punto di vista, credo che ci debba essere un impegno continuo a migliorarci e a rendere questa trasmissione sempre più godibile dalla maggior parte del pubblico possibile.
Chiedo a questo punto l’intervento dei miei colleghi della trasmissione per avere anche il loro parere e, soprattutto gradirei tantissimo conoscere il punto di vista di chi ci segue e ci ha seguito…

Il banco di regia
Il banco di regia

Signore e signori, grazie per averci ascoltato. Vi auguro la buona notte…

Raise de bar: fretta, qualità e aspettative

Da qualche settimana collaboro con il network di podcast Just in tech, sono stranamente invitato a parlare di tecnologia nella trasmissione, che tra l’altro va anche live, Tech Avenue. Nel mio post precedente ho scritto e pubblicato il live hangout: ero stato invitato a parlare di “Lo Hobbit” in HFR.

Justen, il deus ex machina di Just in tech, mi ha chiesto se gentilmente gli potessi preparare una sigla animata da usare come intro a tutti i podcast del network. Il logo lo si può trovare qui.

Sfortuna volesse che me l’ha chiesto in un momento di grande incasinamento tecnico e politico: ero preso da altri lavori e il mio Mac era appena morto, ho doveto fare tutto in 25 minuti, prima di uscire, e senza i miei filtri. Quello che ho prodotto è stato questo:

Non sufficiente dal mio punto di vista, ma c’era fretta di pubblicare la prima puntata e la sigla è rimasta questa.

Non ero soddisfatto, però, per cui, qualche giorno dopo, ho deciso di prendere in mano il file di After Effects e di aggiungervi anche le stelle dietro il pianeta e di utilizzare Optical Flares per tracciare una luce nello spazio 3D invece di animare a mano il lens flare. Quello che ho prodotto, in poco più di altri 20-25 minuti è questo:

Decisamente più fluido, no? Più bello.

Ah, notare che ormai tutto quello che produco per il web va fisso a 30 fps. Non solo, ma quando giro in giro con la mia fida 7D, se so che non si va in TV, punto sempre la registrazione con base NTSC. E quando qualcuno, nonostante gli chieda di girare 30, mi consegna un girato a 25… Beh, mi incazzo mica male! Se sei in ascolto, Salvation, sappi che sto parlando di te. Scherzo: sei un Maestro per me! 😉

Beh, abbiamo parlato di fretta e di qualità. Avevamo parlato di questo anche tanto, tanto tempo fa, agli albori di Video DiggaZ Xtra DarK, vi ricordate?

Tempo. Soldi. Qualità.

Qui di $oldi non si parla perché è un progetto assolutamente no-profit-for-ever, ma di tempo e qualità sì. E credo che avevamo parlato di qualcosa del genere anche qui, ricordate? Tra l’altro uno degli articoli più letto di questo blog.

Ora… La seconda sigla a me piace. Non è niente di ché, non mi farà certo vincere un premio come miglio MG artist dell’anno, anzi, però svolge il suo scopo e nell’ottica di una produzione off-off-off-the-record direi che siamo abbastanza allineati, no? Senza infamia e senza lode, qualcuno potrebbe dire.

Voi sapete che però io collaboro, anzi, sono parte integrante di IPN, vero? Tutto questo, Video DiggaZ e i relativi videopodcast, È Italian Podcast Network. Mentre in Just in tech collaboro, in IPN sono parte integrante dello staff core. In Tech avenue sono un ospite, in IPN sono in padrone di casa, più o meno. Diciamo il fratello del padrone di casa, dai.

IPN per me ha una valenza diversa, in IPN sono un responsabile dei contenuti e delle linee editoriali. E anche in IPN, al di là di Video DigggaZ, ho realizzato una sigla, questa:

Anche questa senza infamia e senza lode, un richiamo ai film degli anni ’80 (o era lo spot degli “effetti speciali e colori ultravivaci”?), realizzata con una camera 3D in After Effects e Particular. Una cosa semplice, anche un po’ tamarra, non credete? Ma funziona e nessuno si è lamentato della resa grafica.

Però per IPN sto lavorando a diversi progetti, e non penso solo a questo, Suppakitchen, che invece ha la necessità di essere volutamente grezzo:

Ci sono anche progetti più ricchi, più complessi, che necessitano di una maggiore attenzione e una ricerca qualitativa che non può scendere sotto certi livelli.

È il motivo per cui sono tre mesi che non esce una puntata nuova di Video DiggaZ, ed è la stesso motivo per il quale alcuni progetti mi bloccano, perché so che per raggiungere un certo livello qualitativo, il livello minimo che mi sono prefisso, il lavoro da fare è troppo, troppo per me da solo, troppo complesso per poter venire affrontato nelle pause, nei ritagli di tempo, prima di andare a dormire o, come domenica per la sigla di Tech avenue, 20 minuti prima di uscire di casa per andare a vedere “Vita di Pi” (e sul quale dovremmo aprire un altro dibattito più interessante… Vi basti sapere che Tigre batte Gollum 1 a 0, IMHO).

Insomma: ci sono cose che vanno fatte bene, altrimenti non le si fa. Altrimenti non le si deve fuckin’ fare.

Ora… Sto collaborando, in modo più o meno ad cazzum ad un nuovo podcast di IPN. Non credo che sarò coinvolto ogni volta come collaboratore, ma sto collaborando. Ho realizzato una prima versione del logo, che sicuramente mi casseranno da qui a qualche settimana. E ho pensato ad una versione animata (“video”) del logo, una cosa che prevederebbe di effettuare riprese in studio, davanti ad un greenscreen, con anche un attore o comunque qualcuno che vi si possa prestare.

Livello di fattibilità della cosa: zero.

Niente di impossibile, certo, ma allo stesso modo niente di fattibile con le scarse risorse di cui dispongo. Nota che per “scarse risorse di cui dispongo” intendo dire quella faccia da cazzo che vedo la mattina allo specchio quando mi faccio la barba.

Ed è un casino quando si setta la barra così in alto, quando le proprie aspettative dal proprio lavoro sono più alte di quello che tu ti puoi permettere di concederti. È un casino, è un peccato, e ti lascia un senso di (auto) castrazione mica male.

E voi come diamine fate? Come fate a chiedere a voi stessi meno di quello che vi chiedereste se non foste voi? Come fate a farvi degli sconti da soli? Come fate ad accettare un lavoro che non esprima, non dico il 100%, ma almeno il 90% del vostro potenziale?

Sono gradite risposte nei commenti. Grazie. 🙂

Suppakitchen: un altro video

Ebbene sì, non ho tempo di scrivere qui ma mi metto (a 90) a girare dei video, montandoli velocerrimamente in Final Cut Pro X, per poi elargirli al mondo, insieme alla mia immane stupidità.

Qui trovate la mia seconda ricetta, il Filetto all’urbinillo (se non sapete cos’è andatevi a leggere il mio libro), girato per l’occasione da Stefano Paganini, e dalla di lui moglie, con la mia fida 7D e, udite-udite, anche con una simpaticherrima GoPro Hero 3 (white), che si è dimostrata più che adatterrima al video di cucina.

Che dire? Non ridete troppo. O troppo poco…